La Corte di Cassazione è recentemente tornata sul risarcimento per violazione del consenso informato ed errori medici, delineando nuovamente e con taglio pratico le diverse fattispecie che si possono configurare in caso di contestazioni inerenti il consenso informato. Sono state infatti precisate dalla Suprema Corte le diverse possibili voci di danno e le situazioni in cui si ha diritto al risarcimento.
Il consenso è stato da decenni oggetto di attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza nel tentativo di colmare il vuoto normativo in precedenza esistente. Fino al 2017, infatti, il legislatore non era intervenuto sul tema.
La Legge 219/2017
Con la Legge 22 dicembre 2017, n. 219 – “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, finalmente, il legislatore ha tentato ti colmare il gap normativo, ribadendo, nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Carta Costituzionale e degli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il diritto all’autodeterminazione della persona e stabilendo, all’art. 1, comma 1, che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge”.
Viene pertanto definitivamente confermata la necessità di acquisire il consenso “libero e informato” del paziente, in assenza del quale, salvo i casi di cui all’art. 54 del c.p. – “Stato di necessità”, il sanitario non potrà procedere al trattamento.
La L. 219/2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 12 del 16 gennaio 2018, all’art. 1, comma 2, pone il paziente al centro della relazione di cura con il medico nel rispetto della competenza e nella autonomia professionale di quest’ultimo, ma valorizzando l’autonomia decisionale del primo e precisando la possibilità del coinvolgimento, nella relazione di cura, anche dei familiari, del convivente o di persona di fiducia del paziente, qualora il paziente lo desideri.
Si ribadisce (art. 1, comma 3) il diritto del paziente a conoscere le proprie condizioni di salute, ad essere informato in maniera completa e comprensibile da parte dei sanitari, di essere portato a conoscenza della diagnosi, della prognosi, dei benefici e rischi del trattamento nonché delle possibili alternative e delle conseguenze dell’eventuale rifiuto ad essere trattato.
Viene inoltre ribadito il diritto del paziente a rifiutare il trattamento proposto.
Quanto previsto ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 1 della L. 219/2017, attiene aspetti che erano – o almeno avrebbero dovuto essere – già noti e oggetto di applicazione e rispetto da parte del personale sanitario.
Di maggiore interesse, invece, quanto previsto al comma 4 dell’art. 1 della L. 219 che recita: “Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”.
Si stabilisce, in maniera definitiva, la necessità da parte del sanitario di acquisire il consenso del paziente in forma scritta o attraverso videoregistrazioni e di allegare la relativa documentazione (cartaceo o come videoregistrazione) in cartella, pena la possibilità per il paziente di richiedere un risarcimento per violazione del consenso informato.
Il consenso informato, pertanto, deve fare parte integrante della cartella clinica del paziente.
La Legge conferma, inoltre, il diritto del paziente a cambiare idea ossia a revocare – in qualsiasi momento – il consenso inizialmente prestato, con obbligo da parte del sanitario di annotare in cartella l’eventuale intervenuta modifica della volontà del paziente.
Ultimo passaggio significativo della norma quello di cui al comma 8 dell’art. 1 che conferma l’importanza del percorso informativo preliminare alla registrazione della volontà del paziente, stabilendo che “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. La comunicazione con il paziente, pertanto, fa e deve fare parte integrante del percorso assistenziale, al pari del trattamento medico.
Risarcimento per violazione del consenso informato ed errori medici
La L. 219/2017, finalmente, conferma e stabilisce che:
1) per ogni provvedimento diagnostico-terapeutico è necessario il consenso del paziente;
2) il paziente deve essere informato in maniera completa e comprensibile;
3) l’informazione e la comunicazione con il paziente costituisce tempo di cura;
4) il consenso deve essere documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni;
5) il consenso deve essere inserito nella cartella clinica;
6) il paziente ha diritto di cambiare idea.
Il mancato rispetto di quanto stabilito dalla normativa sul consenso informato può pertanto configurare un danno da violazione del diritto di autodeterminazione del paziente e quindi legittimare una richiesta di risarcimento.
Sul punto ossia sulla possibilità per il paziente di richiedere un risarcimento per violazione del consenso informato ed errori medici, è tornata ad esprimersi, del tutto recentemente, la Corte di Cassazione, III^ Sezione Civile con ordinanza n. 16633 del 12 giugno 2023.
La Suprema Corte, nella predetta ordinanza, ha nuovamente ribadito quali debbano essere i requisiti del consenso per essere considerato valido e regolarmente prestato ed esplicitato quale debba essere lo “schema concettuale” cui riferirsi ai fini della verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria. Ha infine prospettato 5 diverse ipotesi che possono ricorrere.
La Cassazione, ribadisce che il consenso, per essere ritenuto valido, deve essere:
– informato
– consapevole (deve essere prestato in maniera consapevole da parte del paziente)
– completo (le informazioni fornite devono riguardare “tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili”. Nello specifico, è stato ritenuto che una complicanza avente una incidenza di verificazione del 5% deve essere ricompresa nella informazione da fornire al paziente, non potendo essere considerata eccezionale ed altamente improbabile. Al paziente devono pertanto essere comunicate le possibili complicanze correlabili alla prestazione sanitaria, note nella letteratura medica e come tali prevedibili, “ancorchè quale conseguenza di bassa frequenza statistica”)
Si ridefinisce ed allarga, pertanto, il perimetro dell’informazione da fornire al paziente, di fatto stabilendo la necessità di informare il paziente anche di complicanze aventi una bassa probabilità di verificazione (stabilità nella specie nella misura del 5%), purchè note nella letteratura medica.
La Cassazione ripercorre lo statuto della responsabilità da mancato consenso informato ricordando che l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso del paziente può riguardare, a seconda di quanto dedotto dalla parte:
1) la violazione del diritto all’autodeterminazione: l’omessa o insufficiente informazione al paziente causa di per se una compromissione della “autonoma valutazione” dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario proposto da parte del paziente.
2) la lesione del diritto alla salute: in caso di danno al paziente derivante dal trattamento seppure correttamente eseguito da parte dei sanitari, la rilevanza causale del difetto di informazione deriva dalla possibilità per il paziente di dimostrare, anche attraverso presunzioni, che si sarebbe astenuto dal trattamento laddove correttamente informato dei rischi dello stesso. La lesione del diritto alla salute si configura pertanto in caso di presunto dissenso da parte del paziente rispetto ad un trattamento eseguito correttamente ma in presenza di un difetto di informazione.
Lo “schema concettuale” cui riferirsi per la verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria, tuttavia, richiede la presenza dei seguenti elementi:
In questo caso la “rilevanza causale dell’inadempimento (difetto di informazione in trattamento correttamente eseguito) viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa “consenso/dissenso” che qualifica detta omissione” ossia il difetto di informazione rileverà casualmente solo nel caso in cui il paziente possa dimostrare che in caso di corretta informazione avrebbe rifiutato il trattamento.
Si possono infatti configurare le seguenti circostanze:
Sebbene in linea generale la condotta lesiva, di regola, preveda la dimostrazione, oltre al difetto di informazione, anche del dissenso presunto del paziente (rifiuto del trattamento da parte del paziente se correttamente informato), la Corte ritiene ipotizzabile che anche nei casi in cui possa presumersi il consenso del paziente (se informato si sarebbe sottoposto al trattamento), si potrebbe configurare una lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente. La risarcibilità di tale lesione, tuttavia, sarà legata, sottolinea la Cassazione, alla prova, sia pure a mezzo di presunzioni, “di avere subito un pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale (ed in tale ultimo caso di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente”.
In presenza di difetto di informazione, il paziente, pertanto, potrà avere diritto ad un risarcimento anche in caso di presunto consenso al trattamento, qualora sia in grado di provare di avere subito un danno per sofferenza soggettiva (danno morale) e contrazione della libertà di disporre di se stesso.
La Suprema Corte, infine, identificano le seguenti 5 diverse possibilità derivanti dall’ “intreccio” delle allegazioni riguardanti l’esecuzione della prestazione sanitaria e la violazione dell’obbligo di informazione:
Risarcimento per violazione del consenso informato ed errori medici
Ipotesi 1
ricorrono:
Cosa sarà risarcibile?
Il solo danno alla salute del paziente.
Ipotesi 2
ricorrono:
Cosa sarà risarcibile?
Il danno alla salute del paziente e il danno da lesione del diritto di autodeterminazione ossia le conseguenze dannose di questa lesione allegate e provate dal paziente, sia pure per presunzioni.
Ipotesi 3
ricorrono:
Cosa sarà risarcibile?
Il danno da lesione del diritto di autodeterminazione e il danno alla salute del paziente, valutandolo in relazione alla eventuale situazione differenziale tra il maggior danno biologico conseguente all’intervento che il paziente, se correttamente informato, avrebbe rifiutato ed il preesistente stato patologico invalidante del paziente.
Ipotesi 4
ricorrono:
Cosa sarà risarcibile?
Niente! Nessun risarcimento sarà dovuto.
Ipotesi 5
ricorrono:
Solo il danno da lesione del diritto di autodeterminazione qualora il paziente provi che dal difetto di informazione comunque presente gli siano derivate conseguenze dannose di natura non patrimoniale in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della liberta di disporre di se stesso ovviamente diverse dal danno alla salute (ad esempio: il difetto di informazione ha impedito al paziente di prepararsi ad affrontare il periodo post-operatorio “nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo”. Sarà risarcibile l’impreparazione e la maggiore afflizione patita dal paziente per le complicanze prevedibili del trattamento alle quali, per difetto di informazione, non era stata preparato).
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