In questo articolo esamineremmo in dettaglio quali sono i soggetti che in caso di accertata malasanità ossia di un danno conseguente a responsabilità medica potranno avanzare una richiesta di risarcimento.
Questo è il terzo di una serie di articoli che si prefiggono di fornire una guida al risarcimento del danno da malasanità, semplice e comprensibile anche per i non addetti ai lavori. In precedenza avevamo parlato anche della documentazione medica necessaria a verificare l’esistenza di una responsabilità sanitaria e quindi a supportare una eventuale richiesta di risarcimento del danno da errore medico.
Ma vediamo che può chiedere il risarcimento per malasanità.
Un danno alla salute provocato da un caso di malasanità presenta, in primo luogo, una ovvia incidenza negativa sulla salute del diretto danneggiato.
Tuttavia, il paziente danneggiato non è l’unico soggetto colpito dalla vicenda. Il danno, infatti, può determinare riflessi negativi e potenzialmente meritevoli di risarcimento anche nei confronti di altri soggetti cosiddetti “secondari”.
Occorre, pertanto, chiarire quali siano i soggetti che possono avanzare una richiesta di risarcimento del danno in caso di responsabilità medica. A tal proposito occorre distinguere tra due macro-situazioni principali:
A) Danno da responsabilità medica che cagiona la morte del paziente. Tale sezione si specifica ulteriormente in:
L’errore medico può condurre al decesso del paziente, con conseguente lesione del bene più importante, ossia la perdita della vita, che rappresenta un bene giuridico autonomo rispetto al diritto alla salute.
In questo caso, non potendo, evidentemente, il diretto interessato agire per il risarcimento, il diritto a richiederlo potrà essere esercitato dagli eredi del paziente deceduto, come di seguito meglio specificato.
La possibilità di trasmettere agli eredi il diritto di avanzare una richiesta di risarcimento del danno non è automatica, ma solo in presenza di alcuni elementi. In particolare, occorre fare riferimento alla divisione concettuale tra diritti “iure proprio” (in proprio, “per diritto proprio”) e “iure hereditatis” (per diritto ereditario).
La prima espressione identifica un diritto personale di un soggetto che subisce una lesione di un proprio diritto garantito dall’ordinamento.
La seconda espressione, invece, individua un diritto che viene trasmesso da un soggetto (de cuius) ad un altro soggetto (erede). Presupposto logico della trasmissione di un diritto è la sua formazione in capo al titolare originario che, nella fattispecie che ci interessa, è il paziente deceduto.
Questa distinzione è particolarmente rilevante in relazione alle 3 sotto-voci summenzionate. In particolare:
In questo caso, il decesso del paziente interviene in misura istantanea, o pressoché immediata, rispetto all’evento di malasanità. Questa casistica, secondo l’impostazione della Giurisprudenza, non consente al paziente danneggiato/deceduto di acquisire un proprio diritto al risarcimento del danno. Ciò in ragione dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il credito risarcitorio.
Pertanto, ne deriva la mancata trasmissione agli eredi “iure hereditatis” del diritto di agire per il risarcimento del danno subito dal paziente deceduto immediatamente dopo l’errore medico.
Tuttavia, l’evento non è ininfluente per l’ordinamento.
Viene, infatti, riconosciuta, ad una ampia platea di individui, la possibilità di far valere “iure proprio”, il diritto al risarcimento del danno.
Si tratta, in linea generale di parenti e congiunti, che siano in grado di dimostrare la sussistenza di un vincolo affettivo e/o di un legame qualificato.
La mera titolarità di un rapporto familiare, tuttavia, non può essere considerata sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria, occorrendo, di volta in volta, verificare in cosa il legame affettivo sia consistito e in che misura la lesione subita dalla vittima primaria (paziente deceduto) abbia inciso nella vita dei vari familiari/congiunti.
Il criterio per la selezione della legittimazione delle cosiddette vittime secondarie (familiari/congiunti) a chiedere un risarcimento va ricercato nella titolarità di una situazione di contatto qualificato con la vittima. Tale rapporto qualificato normalmente si identifica con la disciplina dei rapporti familiari, ma non si esaurisce in tale ambito, ben potendosi ricomprendere (oltre ai parenti in linea retta, ascendenti e discendenti) anche i parenti in linea collaterale, nonché l’unito civilmente, il convivente more uxorio (convivente non sposato), i nonni, i nipoti, gli zii, il coniuge separato, il/la fidanzato/a non convivente.
In definitiva, in questa ipotesi, agli eredi spetterà unicamente il danno non patrimoniale “iure proprio”, cioè quello derivante dalla sofferenza per la perdita di un prossimo congiunto. Il danno da perdita del rapporto parentale è un danno quantificabile dal giudice in via equitativa (dopo aver dato prova del danno), ricorrendo a parametri valutativi sviluppati dai Tribunali.
Nel caso in cui il decesso intervenga dopo un apprezzabile lasso di tempo rispetto al danno da responsabilità medica, tale periodo giustificherà il riconoscimento, in favore del danneggiato del “danno biologico terminale”.
Si tratta di un danno da “percezione” che si concretizza sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni subite, sia nella sofferenza psicologica da “lucida agonia”, derivante dalla consapevolezza della propria sorte. L’espressione, quindi, indica tutte quelle circostanze in cui il paziente è in grado di percepire la situazione, ed in particolare, l’imminenza della propria morte.
In questi casi, il paziente che subisce un danno da responsabilità medica che lo porterà al decesso dopo un apprezzabile intervallo di tempo, acquisirà e trasmetterà agli eredi il diritto al risarcimento di due pregiudizi:
Infatti, la possibilità di chiedere iure hereditatis il risarcimento del danno patito dalla vittima di lesioni mortali è ammessa, quanto al “danno biologico temporaneo”, laddove la lesione della salute si sia protratta per un periodo di tempo “apprezzabile” che ne consenta l’accertamento medico-legale e, quanto al “danno morale”, laddove sussista uno stato di coscienza della vittima che le consenta di prefigurarsi la morte imminente e di addolorarsi per essa (Cassazione civile sez. VI, 13/12/2018, n.32372).
Gli eredi del paziente deceduto, pertanto, potranno agire per il risarcimento “iure hereditatis” del danno patito dal paziente, nonché, in via autonoma, per il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita di un proprio caro.
Il danno “iure proprio” potrà essere richiesto oltre che dai parenti in linea retta, ascendenti e discendenti, anche dai parenti in linea collaterale, nonché dall’unito civilmente, il convivente more uxorio (non sposato), i nonni, i nipoti, gli zii, il coniuge separato, il/la fidanzato/a non convivente, previa dimostrazione del legame affettivo con il paziente deceduto.
Si tratta dell’ipotesi di un paziente danneggiato da una menomazione invalidante conseguente ad un errore medico che muore per una causa esterna ed indipendente dalla lesione subita per colpa medica prima di ottenere il risarcimento del danno sofferto.
Si è soliti identificare questa voce di danno con l’espressione “danno da premorienza”.
Il risarcimento in questione attiene all’intervallo temporale compreso tra il danno da errore medico da cui deriva la compromissione permanente del bene salute e la morte del soggetto. Anche tale diritto viene trasmesso agli eredi.
Il paziente danneggiato a seguito di un errore medico avrà ovviamente diritto di richiedere personalmente un risarcimento per il danno subito. In caso di grandi invalidità del paziente danneggiato, in alcuni casi, anche i congiunti potranno avere diritto a richiedere un risarcimento “iure proprio“.
La questione della risarcibilità del danno non patrimoniale subito iure proprio dai congiunti di un soggetto macro-leso, in conseguenza di un fatto illecito altrui, ha incontrato maggiori difficoltà rispetto al caso della morte del congiunto.
L’orientamento tradizionale riteneva che tale pregiudizio non fosse risarcibile “non derivando in via diretta ed immediata dall’illecito, ma essendo un mero riflesso della menomazione e della sofferenza subite dall’infortunato”.
La svolta d’impostazione si ebbe nel 1986. In tale occasione i giudici di legittimità, valorizzando la lettura costituzionale dell’art. 2043 c.c. proposta dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 184/1986, ritennero risarcibile il danno non patrimoniale del soggetto non direttamente danneggiato.
In particolare, si trattava di una controversia relativa alla compromissione dei rapporti coniugali per lesioni subite da uno dei coniugi. La Corte precisò che il diritto ai rapporti coniugali è un diritto della persona e, in quanto tale, “va equiparato al diritto alla salute, quale diritto della persona all’integrità fisico-psichica”.
La famiglia – ricordò la Suprema Corte – è riconosciuta dall’art. 29 Cost. come “società naturale fondata sul matrimonio” e configura, pertanto, una formazione sociale “nella quale, a norma dell’art. 2 Cost., si esplica, nell’aspetto della vita familiare, la personalità di ciascuno dei coniugi, estrinsecandosi in “diritti inviolabili”, costituzionalmente riconosciuti e garantiti non soltanto nei rapporti fra i coniugi, ma anche a fronte di terzi”.
La pronuncia in parola ha rappresentato uno snodo decisivo nell’evoluzione della nozione di danno da lesione del rapporto parentale, con il superamento della nozione di danno riflesso in favore della figura dell’illecito pluri-offensivo. Come osservato in dottrina, “l’illecito pluri-offensivo è il risultato di un’indagine condotta in punto di rapporto di causalità: non è una prima lesione a riflettersi sulla persona di altri, ma un unico illecito che colpisce più soggetti”.
Tale concezione fornisce un modello logico-giuridico “capace di garantire una tutela piena dei congiunti contro i fatti illeciti di terzi (…) a prescindere dall’entità, mortale o meno, delle lesioni personali del congiunto”. Pertanto, per le Sezioni Unite del 2002 “lo stato di sofferenza dei congiunti (…) trova causa efficiente, per causa mediata, pur sempre nel fatto illecito del terzo nei confronti del soggetto leso”.
Il danno cagionato ad un congiunto, pertanto, può limitare, comprimere e stravolgere il rapporto del danneggiato con i propri cari, che potranno agire per il risarcimento del danno. Tale danno, iure proprio, potrà essere richiesto (oltre che dai parenti in linea retta, ascendenti e discendenti), anche dai parenti in linea collaterale, nonché dall’unito civilmente, il convivente more uxorio (non sposato), i nonni, i nipoti, gli zii, il coniuge separato, il/la fidanzato/a non convivente, previa dimostrazione del legame affettivo con il paziente danneggiato.
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