E’ prevedibile che nel prossimo futuro numerose saranno le richieste di risarcimento per decesso da coronavirus. Migliaia sono ad oggi, infatti, i casi in Italia di decessi da Covid-19 ed in molte situazioni sono state ventilate ipotesi di responsabilità organizzative al momento al vaglio della Procura di Bergamo.
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Appare, a nostro avviso, opportuno, oltreché rispettoso degli obiettivi istituzionali della nostra Associazione, tentare di chiarire quando sia concretamente identificabile un diritto ad un risarcimento per decesso da coronavirus.
Questa attività di verifica preliminare viene eseguita abitualmente dai professionisti convenzionati con l’Associazione Iride per tutte le richieste di assistenza malasanità che quotidianamente giungono alla nostra attenzione.
Tenendo inevitabilmente conto del drammatico momento storico che stiamo vivendo e che ha pesantemente segnato la nostra società dal punto di vista sanitario, economico e sociale, tale valutazione preliminare di procedibilità mira doverosamente ad evitare di alimentare inutili contenziosi ed allo stesso tempo ad individuare, laddove effettivamente presenti, eventuali responsabilità nelle procedure gestionali e di contenimento dell’infezione da Covid-19 cui debba ricondursi il contagio che ha poi determinato il decesso del paziente. Solo in questi casi, infatti, sarà possibile avanzare una richiesta di risarcimento per malasanità.
Gli eventuali deficit organizzativi, tuttavia, possono avere inciso e potranno incidere non solo sulle sorti del paziente ma anche dello stesso personale sanitario chiamato a prestargli assistenza, ad esempio, senza i necessari dispositivi di protezione. Molteplici, al riguardo, sono infatti le testimonianze di operatori sanitari costretti a lavorare senza protezioni (mascherine, guanti, tute, visiere).
Per questo motivo l’Associazione Iride, pur non escludendo la possibilità di prestare assistenza alle vittime del coronavirus, con la creazione di un servizio dedicato ha deciso, in accordo con i professionisti convenzionati, che in nessun caso verrà contestato l’operato del personale sanitario, spesso vittima delle medesime carenze organizzative.
Come noto, gran parte dei decessi da coronavirus sono conseguenza di infezioni contratte in ospedale e nelle RSA (Residenza Sanitaria Assistita), spesso dovute a misure di prevenzione inadeguate.
Si tratta pertanto di infezioni cosiddette nosocomiali, note anche come “infezioni acquisite in ospedale” ossia contratte nel corso della degenza ospedaliera o dopo le dimissioni e che non erano manifeste né in incubazione all’ingresso in ospedale. In questi casi, i familiari dei pazienti deceduti potranno legittimamente avanzare una richiesta di risarcimento per il decesso da coronavirus dei loro cari.
La pandemia da coronavirus, purtroppo, è ancora protagonista della vita di tutti noi, adesso con la cosiddetta seconda ondata, in attesa, forse, di una terza. Drammatiche sono state le conseguenze, in termini di vite umane perdute, della diffusione dell’infezione da coronavirus che ha messo a nudo l’inadeguatezza del sistema nazionale (e non solo) di contenimento dell’infezione da Covid-19. E’ stato inoltre portato all’attenzione dell’opinione pubblica e della Procura della Repubblica l’omesso periodico aggiornamento del piano pandemico nazionale.
Il “Piano pandemia influenzale” del Ministero della Salute è infatti ancora quello del 2006, anno della sua pubblicazione e ciò ha quantomeno posto il legittimo sospetto che non vi sia stata adeguata pianificazione sul rischio pandemico che rappresentava uno specifico obbligo nazionale come raccomandato dall’OMS e ribadito dalla Decisione n. 1082 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22.01.2013.
L’obiettivo del “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” del 2006 era quello di rafforzare la preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale in modo da:
Le azioni chiave per raggiungere tali obiettivi sono:
Nelle fasi interpandemiche, viene prevista la preparazione di appropriate misure di controllo della trasmissione dell’influenza pandemica in ambito ospedaliero:
Secondo Filippo Curtale, Direttore UOC Rapporti Internazionali, INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà), “pur essendo stati allertati per tempo e trovandoci nelle condizioni migliori per rispondere adeguatamente alla pandemia, ben poco è stato fatto per prevenirla e controllarla. Il piano pandemico è stato ignorato, il virus è entrato in Italia ha circolato liberamente per settimane, le competenze epidemiologiche italiane non sono state attivate…Il risultato è stato che, quando la pandemia è esplosa, gran parte delle risorse disponibili sono andate a potenziare il sistema ospedaliero e di terapia intensiva, …mentre ci sarebbe bisogno di capire dove abbiamo sbagliato o cosa si potrebbe fare affinché in futuro i piani pandemici vengano applicati con successo…”.
Ed ancora, ad alimentare il legittimo sospetto dell’esistenza di concrete responsabilità cui addebitare almeno parte dei decessi realizzatisi per contagi intraospedalieri, le affermazioni di Francesco Zambon, coordinatore della sede veneziana dell’OMS dell’ufficio europeo per i piccoli stati, intervenuto anche in televisione a “Non è l’Arena” su La7.
Prima di attivare una richiesta di risarcimento per decesso da coronavirus deve essere attentamente valutato da medici legali e legali esperti in malasanità l’intera documentazione sanitaria al fine di comprendere, innanzitutto, quando è avvenuto il contagio e confermare che l’infezione da Covid-19 è avvenuta durante il ricovero presso la struttura sanitaria (ospedale, casa di cura o RSA).
Una volta determinato il momento del contagio, si dovrà stabilire, ove possibile, se lo stesso si è realizzato per il mancato rispetto da parte della struttura e del personale sanitario delle necessarie misure di prevenzione e contenimento della diffusione dell’infezione da Covid-19. Dovrà infine essere accertato che il decesso del paziente è stato causato o concausato dalle complicazioni dell’infezione da coronavirus.
Andrà ove possibile accertato se il personale sanitario era stato dotato dei dispositivi di protezione individuale, se era stato sottoposto a periodico monitoraggio con tampone, se i pazienti positivi erano stati isolati all’interno della struttura, se erano stati previsti percorsi dedicati per i pazienti positivi, se era stato disciplinato l’accesso alla struttura da parte del personale non dipendente, se e come veniva eseguita la sanificazione ambientale, etc.
L’onere di provare di avere rispettato tutte le misure di prevenzione del contagio, trattandosi di responsabilità contrattuale, rimarrà comunque in capo alla struttura ospedaliera che dovrà dimostrare che quanto contestato dagli eredi del paziente deceduto non è dipeso da una causa ad essa imputabile.
Tali verifiche dovranno essere affidate a professionisti esperti che avranno il compito di filtrare le numerose richieste di assistenza malasanità che con ogni probabilità verranno attivate nel prossimo futuro da parte dei familiari dei pazienti deceduti per infezione da coronavirus. Questa importante attività di verifica preliminare consentirà di evitare inutili contenziosi ed allo stesso tempo di valorizzare il diritto dei familiari, nei casi di acclarata responsabilità, di ottenere un giusto risarcimento del danno per la perdita di un loro caro.
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