Già la emanazione del Codice Civile del 1942 ha reso pacifico l’inquadramento negoziale di cui il legislatore ordinario ha fatto oggetto la prestazione d’opera intellettuale, ivi compresa l’attività medica. Purtuttavia, finanche detto dato ordinamentale non è sufficiente a sopire la diffidenza della dottrina maggiormente critica in merito.
Onde comprendere quest’ultima, è necessario operare un excursus della evoluzione normativa che ha condotto alla disciplina attuale.In costanza della vigenza del Codice Civile Unitario del 1865, impossibile era l’ascrizione degli atti di esercizio di una professione liberale ad oggetto di un contratto, fosse esso tipico o meno. Conseguentemente, la responsabilità eventualmente promanante dai primi avrebbe, inevitabilmente, assunto natura aquiliana, con i relativi corollari in materia risarcitoria, oltre che probatoria.
Se, certamente, la prestazione d’opera intellettuale non poteva, entro tale sistema, accedere alla categoria contrattuale, la prima è stata, sulla scorta di eminente dottrina francese[1], lungamente ascritta nell’ambito del mandato. Quest’istituto ben appariva idoneo ad assorbire lo spirito altamente liberale delle professioni intellettuali, rispetto alle quali, effettivamente, il compenso appariva assumere i connotati di un “onorario” conferito a titolo di liberalità quale controprestazione per una attività di matrice immateriale e, pertanto, ritenuta insuscettibile di valutazione economica.
Sebbene, ancora oggi, per tali considerazioni, potrebbe, in ultima istanza, argomentarsi in ordine alla qualificazione della attività in parola in termini contrattuali, si tratta di ricostruzioni minoritarie, a fronte della, tendenzialmente agevole, possibilità, derivante dal mutato quadro normativo, di inquadramento del contratto di cura tra i negozi bilaterali, sinallagmatici, essenzialmente onerosi, consensuali e con effetti obbligatori.
Con esso, in ragione del consenso validamente prestato ex art. 1326 c.c., il professionista si obbliga a compiere la prestazione, e, parimenti, il cliente si obbliga alla corresponsione del compenso corrispondente. Il contratto si conclude nel momento in cui il proponente venga a conoscenza dell’avvenuta accettazione altrui.
Una simile soluzione è, parimenti, avvallata finanche dalla citata legge del 1978. La stessa dota il contratto di cura di imprescindibili presupposti che corrispondono pienamente a quelli propri delle tipologie astratte di contratto cui il primo viene ad essere ascritto. Ciò è particolarmente evidente ove si consideri la ingente autonomia negoziale privata di cui il contratto di opera intellettuale medica viene, da detta legge, arricchito, in termini di possibilità, per l’utente, di determinare finanche “le modalità di esecuzione della prestazione sanitaria, con libera scelta del luogo di cura o di ricovero e della stessa persona dell’“ausiliario” del debitore, nel senso dell’art. 1228 c.c., cui deve essere affidata la esecuzione della prestazione”[2].
Al contrario, certamente esulante dall’ambito negoziale, e, conseguentemente, fonte di responsabilità aquiliana, è l’ipotesi, residuale, della prestazione del medico che intervenga, senza previo conferimento del corrispondente incarico, in situazioni particolari, sovente caratterizzate da presupposti di necessità ed urgenza tali da spingere il sanitario all’espletamento della prestazione pur al di fuori di un rapporto negoziale con il beneficiante della stessa.
[1] Si citi, ad es., Troplong, De l’échange et du louage, 1841, p. 231
[2] In tal senso si esprime Galgano, Contratto, 1984, p. 713