Nella valutazione di vicende di presunta malasanità, l’attenzione dell’avvocato e del medico legale è sempre stata rivolta a verificare se l’evento indesiderato occorso al paziente successivamente ad un trattamento medico-chirurgico, possa o meno essere ricondotto ad un errore medico ovvero debba essere inquadrato come possibile complicanza del trattamento.
Ogni trattamento medico-chirurgico è infatti gravato da possibili complicanze, codificate dalla letteratura scientifica. Se tali complicanze, ancorchè prevedibili, non risultano evitabili da parte del medico, quest’ultimo non potrà essere ritenuto responsabile del danno occorso al paziente che, di conseguenza, non avrà diritto ad alcun risarcimento. Questa, almeno fino ad oggi, l’abituale difesa del sanitario, difronte a richieste di risarcimento per presunto danno medico insorto nel corso dell’iter terapeutico.
Con la sentenza 13328/2015, la Corte di Cassazione, stabilisce invece che al medico, per andare esente da responsabilità, non sarà sufficiente dimostrare che l’evento dannoso occorso al paziente rientra astrattamente tra le possibili complicanze del trattamento. Il medico dovrà infatti sempre dimostrare di avere agito secondo la leges artis.
Il concetto di “complicanza”, afferma la Suprema Corte, è “inutile nel campo giuridico”. Nella sentenza, inoltre, si legge: “…Quando, infatti, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una:
– o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”;
– ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’articolo 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”.
Al diritto non interessa se l’evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica delle complicanze: interessa solo se quell’evento integri gli estremi della “causa non imputabile”: ma è evidente che tale accertamento va compiuto in concreto e non in astratto. La circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come “complicanza” non basta a farne di per sè una “causa non imputabile” ai sensi dell’articolo 1218 c.c.; così come, all’opposto, eventi non qualificabili come complicanze possono teoricamente costituire casi fortuiti che escludono la colpa del medico.
Da quanto esposto consegue, sul piano della prova, che nel giudizio di responsabilità tra paziente e medico:
– o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle leges artis, ed allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle “complicanze”;
– ovvero, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla: ed allora non gli gioverà la circostanza che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacchè quel che rileva è se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto.
Prevedibilità ed evitabilità del caso concreto che, per quanto detto, è onere del medico dimostrare”.
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