La vicenda analizzata dalla Suprema Corte nella sentenza di cui abbiamo parlato in questo post, fornisce l’occasione per indagare il fondamento e l’esatto contenuto dell’obbligazione medica, nonché i margini di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali derivanti da un intervento, cui il paziente non abbia preventivamente acconsentito, ma che risulti comunque correttamente eseguito.

Altra questione, poi, una volta risolta positivamente la prima, è se sussista un autonomo spazio risarcitorio anche in assenza di pregiudizi alla salute del paziente.

Appurato che sembrerebbe sussistere responsabilità contrattuale per la mancata acquisizione di un valido consenso informato, occorre anche domandarsi se la responsabilità medica, appena delineata, possa configurarsi indipendentemente dalla valutazione della diligente esecuzione della prestazione, e addirittura a prescindere dall’esito peggiorativo dell’intervento praticato.

La Suprema Corte di Cassazione ha più volte statuito che l’intervento, compiuto in difetto di un valido consenso, legittima la pretesa risarcitoria del paziente, e il diritto del danneggiato non è escluso dal fatto che il trattamento eseguito risulti incensurabile alla stregua delle leges artis, in quanto la violazione dell’obbligo di acquisire il consenso e di fornire le necessarie informazioni è sufficiente di per sé, in presenza di un danno risarcibile, a far sorgere la responsabilità del sanitario.

Ciò sull’implicito rilievo che, in difetto di “consenso informato” da parte del paziente, l’intervento terapeutico costituisce un illecito, sicché il medico risponde delle conseguenze negative che ne siano derivate, quand’anche abbia correttamente eseguito quella prestazione.

Quanto ai pregiudizi risarcibili, viene in rilievo, innanzitutto, il danno alla salute, configurabile come aggravamento delle condizioni del paziente o insorgenza di nuove patologie. Il relativo ristoro presuppone che si tratti di conseguenze dell’atto terapeutico e, beninteso, causalmente ricollegabili all’intervento medico. Ai fini del risarcimento la prova del nesso di causalità materiale tra la lesione della salute e l’omissione imputabile al sanitario. Il paziente stesso deve dimostrare che, se adeguatamente informato, non si sarebbe sottoposto al trattamento.

A prescindere dalla sussistenza di un danno biologico, la più recente giurisprudenza di legittimità e di merito, nonché parte della dottrina, ammette la risarcibilità degli altri, eventuali, pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente.

Riconoscendo un autonomo spazio risarcitorio alla lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente derivante dalla mancata prestazione del consenso informato al trattamento sanitario, a parte la lesione della salute, i giudici mostrano di assegnare una distinta rilevanza alla lesione della libertà di scelta, rispetto all’offesa alla salute. Tuttavia, condizione indispensabile ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, «è che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. da 26972 a 26974/2008, con le quali s’è stabilito che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico».

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