Oggigiorno la chirurgia ha raggiunto livelli tecnologicamente avanzati e in molti casi possono essere adottati metodi più conservativi che consentono una riduzione significativa dei periodi di ricovero, riducono le sofferenze e la assenza dagli impegni sociali e lavorativi.

Tuttavia anche questa chirurgia “innovativa” come quella tradizionale che si realizza con “accessi” più ampi e manovre più complesse può andare incontro ad eventi sfavorevoli, inattesi e, spesso, solo genericamente descritti nei moduli del cosiddetto “consenso informato” sottoscritto dal paziente.

Questi eventi, spesso indicati come “complicanze”, possono essere determinati anche da un errore tecnico del chirurgo o dei suoi collaboratori. Possono consistere in una lesione interna di organi e/o vasi come una perforazione o una sezione che danno luogo a perdita di sangue o di altre sostanze (bile, materiale fecale, urine, etc.) o come una sutura incongrua che interrompe la continuità di un vaso.

Di fronte a questi errori medici, o meglio chirurgici, che rendono necessari altri interventi chirurgici di tipo “correttivo” e quindi ulteriori ricoveri o il loro prolungamento, sorge naturalmente la legittima aspettativa di un risarcimento del danno medico. In questi casi, laddove non sia possibile dimostrare la responsabilità dei singoli operatori per avere svolto il loro lavoro in modo inadeguato e quindi “colpevole”, il risarcimento può essere richiesto comunque alla Azienda Sanitaria dove l’errore medico si è verificato. Secondo la nostra legge è infatti l’Azienda a dover rispondere di eventuali danni inattesi, indipendentemente dall’operatore che può averli determinati.

Se pertanto ritieni di avere subito un danno da errore chirurgico, dovrà essere attentamente esaminata tutta la documentazione sanitaria da parte di medici legali esperti nella valutazione della responsabilità medica, sempre coadiuvati da una specialista in Chirurgia.

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