Chi è il medico senologo? Un oncologo, un radiologo, un ginecologo, un chirurgo che abbia acquisito una particolare esperienza sulle malattie del seno, sui mezzi per riconoscerle e per curarle. È un medico al quale una donna che “trova” durante le procedure di autocontrollo (autopalpazione da effettuare almeno una volta al mese) “qualcosa” di anormale a carico del suo seno, un indurimento, un nodulo, deve rivolgersi sollecitamente. A questo punto ecco iniziare il percorso che deve garantire la diagnosi precoce del tumore della mammella. È la diagnosi precoce che garantisce la migliore “risposta” alla terapia e spesso la guarigione definitiva. Ma su quali esami si basa questa procedura?
Quando la donna ha già riconosciuto “qualcosa” di anormale sul suo seno essa è già “sintomatica” e allora il senologo non può limitarsi alla palpazione del seno, esame fisico questo che può solo confermare la presenza di un addensamento o di un nodulo senza consentire di conoscerne la natura. Infatti spesso si tratta di alterazioni “benigne” ma questo giudizio, allo stato delle attuali conoscenze, non può essere affidato “solo” alla “sensibilità clinica” del medico. Oggi si dispone di strumenti di indagine che consentono, sempre se utilizzati congiuntamente, di accertare la eventuale esistenza di un tumore maligno allo stato iniziale: essi sono la mammografia, la ecografia e l’esame citologico con agoaspirato sotto guida ecografica. Il medico non deve privarsi dell’apporto conoscitivo fornito da questi strumenti quantomeno per giungere ad una diagnosi di “sospetto” che potrà essere ulteriormente approfondita con altri esami più complessi: la risonanza magnetica nucleare, la biopsia per l’esame istologico.
I tumori diagnosticati all’inizio rispondono bene alla terapia chirurgica limitata (senza asportazione del seno come si faceva una volta nei casi più avanzati) eventualmente integrata da cure mediche. Oggi con questi strumenti il tumore della mammella può essere guarito! E allora quale è l’errore che deve essere evitato in senologia? Quello di “fermarsi” ad una diagnosi incompleta confidando nella capacità di dare un giudizio successivo senza “mettere in campo” tutti gli strumenti diagnostici oggi disponibili.
Da questo comportamento deriva spesso un ritardo diagnostico che poteva e doveva essere evitato. Talvolta la mancata diagnosi dipende da un vero errore di “lettura” della mammografia e/o della ecografia o dalla inadeguata esecuzione del prelievo per l’esame citologico. Errore questo a cui è comunque possibile rimediare con la ripetizione “a breve” dell’esame erroneamente interpretato, talvolta anche erroneamente eseguito.
Al ritardo nella diagnosi, se ovviamente esso è rilevante (di molti mesi o anche di oltre un anno), corrisponde inevitabilmente la evoluzione-accrescimento della malattia e la sua possibile diffusione ad altre sedi, tanto da rendere difficile e talvolta inutile la cura.
Prima di rivolgere la nostra attenzione al danno che ne è conseguito e chiederne il risarcimento è certamente più utile insistere nella ripetizione delle visite e degli accertamenti senza accettare passivamente una diagnosi di benignità che può essere facilmente corretta con l’esecuzione di ulteriori consulenze ed esami.
In questo modo ciascuna donna è in grado di tutelare la sua salute, riducendo gli errori dei medici e l’aumento delle richieste di risarcimento che purtroppo si registra negli ultimi anni.